Quando si parla della storia della Ferrari nella massima categoria non si può non parlare di uno dei volti che più è rimasto impresso nella memoria dei tifosi della casa del cavallino rampante. Quello stemma, posto al lato del cuore, e cucito sulla tuta rossa, è stato una spinta motivazionale per un pilota in particolare: Lorenzo Bandini. Lui venne definito il “pilota del popolo”, e proprio per il popolo tentò di alimentare il sogno, spingendosi al punto tale che quel sogno è stato motivo della sua scomparsa. Ancora oggi, però, tra i piloti più amati della Ferrari, Lorenzo Bandini, ha un posto speciale nel cuore degli Italiani. Dietro solo ad altri due.
I PRIMI ANNI
Lorenzo Bandini nacque il 21 dicembre 1935 nella città di Barca, sita in quella che era la Libia Italiana, oggi conosciuta come Al-Marj. La sua famiglia era di provenienza emiliana. I suoi emigrarono per motivi lavorativi nel continente africano. Nella città si conobbero e convolarono a nozze. Qui, nel 1934 diedero alla luce la primogenita Gabriella. Nel 1935, un anno dopo, fu la volta di Lorenzo.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale costrinse la famiglia Bandini al rientro in patria. Si stabilirono nei pressi di Faenza. La loro condizione economica era agiata, gestivano un albergo e vari affari. Ciò permise a Lorenzo di crescere senza preoccupazioni nei primi anni della sua residenza italiana. L’ingresso, nel 1940, dell’Italia nel conflitto, costrinse il padre Giovanni al fronte. Lorenzo e la sorella restarono quindi con la madre.
Il 1944 segnò il primo momneto buio per la vita del futuro pilota. Il padre, infatti, a seguuto di un arresto venne imprigionato e poi fucilato. Giovanni era un affiliato al Partito Fascista Repubblicano e fu punito nella rappresaglia susseguitasi alla guerra civile. Inoltre, i bombardamenti rasero al suolo l’albergo gestito dalla famiglia, nonchè loro fonte di sostentamento. Ciò li porto sull’orlo del baratro.
Si trasferirono presso il borgo di Reggiolo ove risiedevano dei parenti e qui Lorenzo studiò presso la scuola di avviamento personale e prestò lavoro come assistente presso un’officina di motociclette.
Il 1950 fu l’anno del grande salto per Lorenzo. A soli 15 anni decise di raggiungere la sorella a Milano. Qui trovò lavoro come meccanico presso il Garage Rex, situato in via Plinio. Il titolare, Goliardo Freddi, accolse Lorenzo e lo trattò come un figlio, supportandolo e tramandandogli la passione per i motori e per le corse. In età adulta, Lorenzo, sposerà la figlia di Goliardo, Margherita.
GLI ESORDI
Il 1956 fu l’anno di debutto da pilota. Lorenzo Bandini si presentò a bordo di una Fiat 1100 103 TV alla gara Castell’Arquato – Vernasca e la concluse quindicesimo. Da lì prese la decisione di partecipare a più gare possibile così da maturare espereinza nell’ambiente. Questa gavetta lo portò alla conquita del secondo posto alla Lessolo – Alice, svoltasi nel settembre del ’56.
Continuò a correre e a farsi notare e, dopo due anni, arrivò il primo grande colpo della sua carriera. Alla Mille Miglia, al volante di una stupenda Lancia Appia Coupè, si aggiudicò il primo posto di classe, nella 2000 Gran Turismo. Disputò la Coppa d’oro in Sicilia e salì sul podio, al terzo posto.
Nel 1951 si dedicò assiduamente all’attività da pilota e non si perse una corsa. Guidò una Stanguelutti. Conquistò nuovamente il podio alla Coppa d’oro di Sicilia, vinse la coppa “Madunina” e vinse anche la gara di Innsbruck. Inoltre, disputò la Coppa junior di Monza, corse la Pontedecimo – Giovi e molte altre gare e cronoscalate. L’obbiettivo era sempre lo stesso: apprendere più che poteva.
Questo impegno venne ripagato nel 1960. La Stanguelutti lo nominò pilota ufficiale e si conquistò due belle vittorie. La prima, al gran premio della libertà di Cuba; la seconda, a Monza. Fu in questa occasione che conobbe Giancarlo Baghetti.
La stagione prosegui, però, con alti e bassi i quali permisero al giovane pilota di capire quanto fosse complicato spiccare nuotando tra gli squali.
LA FORMULA 1
Fu il 1961 che portò con se le aspirazioni verso la grandezza. La Ferrari avrebbe messo a disposizione di un pilota talentuoso e che si fosse dimostrato meritevole, di guidare una sua vettura. Quella possibilità divenne per Bandini motivo di impegno e determinazione. Si prodigò a tal punto per quel risultato che alla Coppa Junior di Monza ottenne il primo posto assoluto. Non solo, a quel punto sperò, ma sentì di poter toccare con mano il suo sogno. Tutto si infranse, però, e la delusione fu cocente. Il Commendator Ferrari gli preferì Baghetti.
Lorenzo Bandini, tuttavia, era stato notato e fu contattato da Mimmo Dei, proprietario della Scuderia del Centro-sud. Lo fece esordire a Pau su una Cooper 1500 motorizzata Maserati. Bandini non sfigurò. Concluse terzo, dietro alle Lotus Climax che erano il punto di riferimento di quegli anni. Visto il risultato, Dei lo iscrisse al Gp di Formula 1 che si sarebbe disputato in Belgio. La gara partì e Bandini percorse 20 giri prima di alzare bandiera bianca per guasto.
Enzo Ferrari, quell’anno, diede in concessione alla squadra di Mimmo Dei una Ferrari 250 Testarossa. Dei la affidò a Bandini che non mancò il bersaglio e si aggiudicò la 4 ore di Pescara. Ora, Enzo Ferrari vedeva quel giovane e cominciava a considerarlo.
FINALMENTE LA ROSSA
Nel 1962 finalmente arriva la chiamata alla corte di Maranello. La stagione fu buona. Debuttò a Pau e si piazzo quinto. L’italiano aveva fame e voleva mostrare a Enzo Ferrari di valere il sedile che occupava. I risultati gli davano ragione. Vinse due gare: il Gp del Mediterraneo e poi il Gp di Enna, quindi, giunse terzo a Montecarlo. Nonostante l’impegno però la Ferrari non era ancora conquistata e la conferma di ciò arrivò l’anno seguente.
Nel ’63 Surtees dovette essere sostiuito e a Maranello si preferì Mairesse a Bandini. Il caso volle che un incidente di Mairesse spianò la strada all’Emiliano. Ancora una volta però, l’italiano non si sentiva pienamente spalleggiato dalla casa automobilistica modenese e tali attriti portarono alti e bassi in quel periodo.
Vi fu un momneto di transizione. L’italiano si alternò al volante della Ferrari nel mondiale marche e al volante della Cooper in F1. Proprio in quel momento arrivò un successo prestigioso, come mandato dal cielo. Al volante di una Ferrari 172P, in coppia con Ludovico Scarfiotti, Bandini vinse la corsa delle corse: la 24h di Le Mans. Seguirono altri ottimi risultati.
Nel ’64, Bandini, divenne pilota ufficiale della Ferrari accanto a Surtess. La stagione fu buona, tanto che il 23 Agosto colse il successo al Gp di Zwelteg. A coronare, però, una bella stagione ci fu quel Gp del Messico, in cui Bandini tenne dietro Graham Hill consentendo a Surtess di laurearsi campione del mondo. La stagione fini con il conseguimento del titolo di “Campione Italiano Assoluto”.
Altra aria, invece, tirò nel ’65. Stagione avara di risultati se non per il secondo posto al Gp di Montecarlo e il quarto posto a Monza. L’anno fu dominato dal binomio Jim Clark e Lotus che risultarono imprendibili. All’annata deludente s’aggiunse la pesante critica di Ferrari, il quale disse a proposito dell’Italiano che, “era alla stessa stregua di altri piloti e che finchè avrebbe continuato ad andare forte avrebbe mantenuto il posto”. Restava comunque un pilota in prova.
Il ’63 diede un altro sapore alla carriera di Lorenzo. Arrivò terzo a Monaco e secondo al Gp del Belgio. Ciò fece si che schizzasse in testa alla classifica piloti, rendendolo un serio contendente alla conquista del titolo. Tuttavia un pessimo risultato al Gp di Reims condizionò il proseguio del campionato. Il titolo andò a Jack Brabham e Lorenzo Bandini s’accontentò del riconoscimento di “Campione Italiano Assoluto”. Di nuovo.
IL 1967
Il ’67 doveva essere l’anno della svolta. L’inizio fu spumeggiante. Colse due vittorie: la prima a Daytona e la seconda alla 1000 km di Monza alla guida della Ferrari 330 P4. Questi risultati gli valsero la nomina a prima guida Ferrari, galvanizzandolo. Ora aveva la fiducia della squadra. Si sentiva fiero e forte, non temeva nessuno eccetto il suo connazzionale Scarfiotti. Questa voglia di dimostrare e la tensione per mostrare che poteva battere il connazionale, furono uno dei motivi alla base del disastro imminente.
QUEL MALEDETTO 7 MAGGIO ’67
Le strade del Principato quel giorno pullulavano di gente. Monaco era invasa dagli appassionati accorsi da ogni parte per assistere alla corsa più glamour dell’anno. Le tribune erano gremite di folla.
Alle qualifiche Lorenzo Bandini si presentò benissimo. Prese la seconda posizione dietro a Jack Brabham che deteneva la pole. La domenica, lo scatto allo spegnere dei semafori fu fulmineo. Bandini schizzò primo e in poco tempo prese quasi due secondi di vantaggio. Brabham dopo poco invece, dette forfait per un guasto. Il ritiro del pilota però sparse olio in pista, e al passagio seguente Bandini ci passò sopra andando in testacoda. Passarono Hulme e Jackie Stewart. Il momento di gloria stava diventando un brutto sogno.
Bandini ripartì, ma era terzo. Iniziò a tirare la sua vettura come un forsennato. Voleva riprendersi quella vittoria che riteneva sua. Sapeva bene che senza quella chiazza nessuno lo avrebbe ripreso. Stewart dopo qualche giro si ritirò e Bandini salì secondo. Ora era a sette secondi dalla vetta. Davanti, a separarlo dal suo recuperano, c’erano due doppiati. Il primo era Rodriguez che si scansò. Il secondo no.
L’altra auto era quella di Hill che, probabilmente, memore di quanto avvenne anni indietro in Messico, fece ostruzione per ben due giri all’italiano. Il tempo perso passò da 7 a 12 secondi. Alla fine l’italiano passò il rivale, ma al passaggio sul rettilineo apparve stanco e provato. Pare che smise anche presto di dare il classico cenno con capo ai cartelli che gli venivano esposti dal muretto. Da quel momento il suo distacco lievito fino a 20 secondi. L’incubo stava ancora per presentarsi.
Al giro 82, Lorenzo Bandini percose la chicane dopo il tunnel ad una velocità molto superiore a quella usuale. La fece in quinta anzichè in terza. Faticò a gestire la sua Ferrari che con il mozzo urtò una bitta d’ormeggio della navi. L’auto sbandò e divenne ingovernabile. Si schiantò, rimbalzando come una pallina da una parte all’altra della carreggiata, fino a che l’auto si impennò e si capovolse. Ricaduta a terra, strisciò per 30 metri ed esplose in una palla di fuoco che terminò la corsa contro le balle di fieno ai lati della pista.
Intervennero i commisari che pensarono che il pilota fosse stato sbalzato sulla banchina o in mare, addirittura. Non c’era, infatti, l’obbligo delle cinture di sicurezza allacciate in quel periodo. Dopo tre minuti l’auto in fiamme fu spenta e girata con l’aiuto di quattro persone. Li ci si accorse che Bandini era rimasto nella monoposto, intrappolato. Venne estratto e portato con urgenza all’ospedale del principato. Qui, la situazione si rivelò critica.
Il pilota aveva riportato la foratura della milza e del polmone a cause delle lamiere, mentre le fiamme che lo avevano avvolto gli avevano procurato gravi ustioni sul 60% del corpo e gli avevano sfigurato il volto. Venne operato d’urgenza. La sofferenza e l’agonia si protrassero per 70 ore. Il 10 maggio 1967 Bandini si spense.
Allo schianto seguirono le polemiche. Se non ci fossero state le barre d’ormeggio delle navi l’auto sarebbe finita in mare. Ciò avrebbe comportato conseguenze meno gravi. Inoltre le balle di fieno a bordo pista, le poche tute ignifughe a disposizione dei commissari e il non sufficente numero di estintori contribuirono a peggiorare la tragicità della situazione. Contribui, inoltre e molto probabilmente, lo stato emotivo del pilota che, pervaso dalle emozioni e dalla ncessita e voglia di far bene, lo portarono a una perdita di lucidità.