Nuovo appuntamento con “Che fine hanno fatto” e nuovo continente: ci spostiamo in Oceania per metterci sulle tracce di una recente meteora della Formula 1. Come vedremo non ha passato moltissimi anni nella massima categoria; complice anche una carriera con una traiettoria un po’ particolare rispetto a quello a cui siamo abituati. Vi do un indizio: non si sa mai se mettere una “a” o una “e” nel suo nome di battesimo… si tratta di Brendon Hartley.
“A kiwi”
Così lo definirebbero in inglese, è un nomignolo simpatico per indicare i neozelandesi. Infatti Brendon nasce nel 1989 a Palmerston North, proprio nello Stato oltreoceano. Per i più appassionati di storia della F1, si tratta di una nazione che vanta una grande storia motoristica: sia Denny Hulme che Bruce McLaren provenivano dalla Nuova Zelanda. Il primo fu campione del mondo 1967, il secondo fondò l’omonimo team. Il nostro Brendon a inizio carriera corre soprattutto in alcune categorie minori del suo paese natio come la Formula First New Zeland e la Formula Toyota, dove ottiene anche dei discreti risultati pur senza vincere mai il campionato; almeno fino all’anno 2007 quando vince la Eurocup Formula Renault 2.0
Sembrava la svolta…
L’affermazione in quella categoria non è banale: gli vale le attenzioni di Red Bull, che nel 2008 gli concede 3 giorni di test con la vettura di Formula 1 della Toro Rosso (odierna Alpha Tauri, già all’epoca banco di prova per i giovani talenti della casa austriaca). Viene quindi nominato pilota di riserva sia della Red Bull che della Toro Rosso per il 2009. Contemporaneamente continua a correre nelle categorie minori e riporta un 3^ posto finale in F3 britannica. Per qualche anno la sua carriera non vede grandi stravolgimenti: riconfermato riserva per il 2010, corre anche qualche gara in Gp2 Series (oggi F2) senza brillare. Proprio nel corso di questo anno, quella che poteva essere un’enorme chance tramonta come il sole sul mare: il suo rapporto con Red Bull viene interrotto a luglio 2010.

Brendon 2.0
Cosa fare a questo punto della vicenda? Senza un sedile in F1 e senza un appoggio concreto, Brendon passa una stagione 2011 di anonimato tra Gp2 e categorie delle World Series by Renault. Ecco che allora Hartley incontra quello che diventerà un fido compagno di viaggio: il mondo delle gare di durata. Così nel 2012 partecipa alla sua prima 24 Ore di Le Mans senza però concluderla. Quell’anno torna anche nell’orbita della F1: è collaudatore per Mercedes, ruolo ricoperto anche nel 2013. Ma torniamo all’endurance. L’anno dopo ci ritenta e riesce almeno a concludere la celebre gara di 24 ore: 6^ di classe e 12^ assoluto assieme ai suoi due compagni di equipaggio. A partire dal 2014 ha la seconda occasione d’oro della carriera: diventa pilota ufficiale del Team Porsche nel mondiale endurance (WEC). Significa guidare un prototipo che rientra nella categoria più prestazionale (all’epoca LMP1, oggi Hypercar) e avere concrete occasioni di successi assoluti.
La sfrutterà?
Il primo anno è travagliato: lui, Webber e Bernhard – nell’endurance ogni auto ha un equipaggio di tre piloti – ottengono solo 1 pole, 1 giro veloce e 3 podi… poco per le ambizioni di Porsche. Non disperate, perché lo stesso trio l’anno dopo si rifà con gli interessi: 4 vittorie e 6 podi in otto gare. Si laureano campioni del mondo endurance 2015, con soli 5 punti di vantaggio. Mancano però la vittoria più prestigiosa: a Le Mans sono 2^. L’anno dopo le stesse statistiche non bastano a riconfermarsi e l’equipaggio è solo 4^ in classifica, sfortunatamente nemmeno Le Mans salva il bilancio (13^). Il 2017 segna la terza grande svolta nella carriera di Brendon Hartley, poiché il cerchio decide finalmente di chiudersi e non solo vince 24 Ore di Le Mans e Mondiale Endurance; ma finalmente esordisce anche in Formula 1.

La chiusura del cerchio
Cosa è successo di preciso? Pierre Gasly, pilota della Toro Rosso, riceve l’autorizzazione a saltare il GP degli Stati Uniti per partecipare all’ultimo round della Super Formula dove si giocava il titolo, dando così a Brendon l’occasione di correre il suo primo GP. Ma non finisce qui! Perché l’altro pilota ufficiale della Toro Rosso, vale a dire Carlos Sainz, passa in Renault a partire dalle ultime 4 gare dell’anno. Ecco che il nostro Brendon è lesto a cogliere la sua chance. Il 13^ posto di Austin è il miglior risultato tra i quattro. Ciononostante, ottiene la riconferma anche per il 2018, il che significa salutare Porsche e l’endurance, che tanto gli avevano dato. La stagione di Formula 1 non è di quelle memorabili: 3 sole gare a punti, mai oltre la 9^ posizione per un misero bottino di 4 punti in 21 gare, contro i 29 del compagno Gasly. Il confronto è impietoso e la mancata riconferma per l’anno 2019 sembra esserne la logica conseguenza. I momenti salienti della sua stagione restano il primo punto in carriera al Gp d’Azerbaijan e una serie di incidenti da far invidia a Maldonado e Grosjean. Alcuni dei quali restano francamente un mistero, come quello occorsogli nel primo giro del Gp del Canada. Anche se dobbiamo ammettere che non tutti furono colpa sua!

E dopo quest’avventura breve ma intensa?
Sapete come si dice… “si torna sempre dove si è stati bene” e così fa anche il nostro biondo Brendon che torna nel Mondiale Endurance; orfano però di Porsche che nel frattempo si è ritirata. Ciononostante, Hartley non se la passa male nemmeno nel 2019: si accasa presso Toyota, rimpiazzando Fernando Alonso. La stagione va alla grande e Brendon sfiora un altro mondiale, ma questa volta lo perde… per 5 punti! Per onore di cronaca: nell’anno pre-pandemico corre anche 5 gare in Formula E ed è pilota del simulatore per la Scuderia Ferrari. Ma la vita di Brendon ormai è nelle gare di durata. E così nell’anno pandemico si porta a casa la seconda affermazione in carriera alla 24 Ore di Le Mans. Nel 2021 fa doppietta di secondi posti: mondiale e Le Mans, per poi arrivare alla recentissima ciliegina sulla torta. Domenica 12 giugno 2022, mentre noi piangevamo il motore di Leclerc, il nostro Brendon Hartley si è portato a casa la 3^ vittoria in carriera alla 24 Ore! Weekend avvalorato non solo dalla vittoria, ma anche dal giro che è valso la pole position alla sua Toyota #8. Ad oggi è esattamente dove credo, a questo punto, vi aspettiate che sia: corre per Toyota nel Mondiale Endurance, o WEC che dir si voglia.

Un breve bilancio
Sicuramente questi successi sono stati agevolati dal fatto che Toyota sia rimasta l’unica vera potenza nell’endurance in attesa del prossimo anno, quando entreranno una serie di costruttori del calibro di Pegueot, Ferrari, Porsche, Audi, Cadillac solo per citarne alcuni. I suoi avversari infatti (Porsche e Audi su tutti) si sono via via ritirati per concentrarsi sul prossimo, importantissimo anno. Però è anche vero che Brendon Hartley ha avuto il merito di sposare il giusto progetto e credere di poter fare grandi cose nell’endurance. E poi come fa a non stare simpatico uno venuto dall’Oceania a portare un grosso sorriso nel motorsport?! Ah, in Nuova Zelanda gli hanno pure dedicato una via.
